
Published on Vulcano Statale
La versione di Marley and The Wailers di No Woman, No Cry occupa il 37esimo posto nella lista delle 500 Greatest Songs of All Time di Rolling Stones. Inizialmente inserito nell’album Natty Dread del 1974, poi diventato molto più celebre nella versione live del 1975, il brano oggi resta uno dei più apprezzati dell’intera carriera di Bob Marley.
Basta però un giro su internet per rivelare una generalizzata incertezza nell’attribuire un significato univoco al ritornello più famoso del cantante giamaicano.
La circostanza più comune è quella di intenderlo come una sorta di slogan conciso alla ‘No Martini, no party‘ che — al di là del riuscito accostamento allo slogan pubblicitario — è efficace, ma anche azzardato.
Infatti, interpretare il verso come ‘senza donne non si piange’ ha un significato ambivalente. Da un lato questa traduzione potrebbe apparire come una celebrazione dell’empowerment femminile nel solco della retorica da femme fatale del ‘queste donne che fanno piangere gli uomini’; dall’altro, il rischio è di far scadere una delle canzoni più belle di Bob Marley in ciò che non è affatto: un messaggio sessista, vagamente incel, dalle sfumature denigratorie.
Nel nostro paese, dove il brano ha ottenuto il disco d’oro, questa interpretazione è stata probabilmente veicolata anche da un noto remake parodico del colossal neozelandese Il signore degli Anelli, in cui la canzone accompagna alcune scene, con tutto l’apparato interpretativo che ne consegue.
Si tratta di un’incomprensione che non si spiega semplicemente come una tipica goliardia italiana — di solito particolarmente vistose sui testi anglosassoni a causa dell’inadeguata conoscenza della lingua — ma che è comune anche agli English speakers. Alcuni di questi ultimi, infatti, sono persino arrivati ad avanzare accuse di gender bias nei confronti di Marley.
L’equivoco però è presto svelato: in Giamaica il dialetto parlato è noto come patoise, sebbene tecnicamente derivi dall’inglese, è molto diverso rispetto alla lingua parlata dagli anglofoni al di fuori dei Caraibi. Molti cantanti giamaicani scelgono di adottare questo dialetto e ne permeano i loro testi, spinti da una rivendicazione di tipo culturale ed identitario.
È questo il caso di Bob quando canta No woman, no cry, la cui traduzione più appropriata sarebbe ‘No donna, non piangere’, decidendo di mantenere no anche laddove la regola grammaticale inglese richiederebbe don’t. Da qui l’origine dei fraintendimenti su uno dei suoi titoli più noti.
Per essere ancora più precisi, infatti, una migliore resa — nonché quella originale —
sarebbe ‘No Woman, Nuh Cry’, perché nuh, suono vocalico più breve rispetto a no, nel creolo giamaicano è il corretto equivalente della contrazione don’t.
Difatti, guardando al testo integrale della canzone, si nota facilmente che siamo di fronte ad un componimento malinconico e solidale, ideato come consolazione a un’ipotetica musa femminile sull’orlo del pianto (la moglie Rita, forse?) incoraggiata a non lasciarsi abbattere dalla mancanza di ricchezza materiale. È un richiamo agrodolce di nostalgia (“Good friends we have lost along the way“) ma anche un appello alla speranza perché, alla fine, “everything’s gonna be alright“.
A riprova di questo, Aston Barrett, il bassista dei The Wailers, nel 2012 aveva dichiarato a NME:
The song is about the strength in the mama of course, strength in the ladies. And we love a woman with a backbone. Something like a wishbone! They have to be like a she lion! Woman strong, you know, not depending on the man. Of course the man is there to help you, then for every successful man, there is a good woman.
Come tutti i suoi testi, un sotteso intimo e personale viene sempre bilanciato da un più ampio respiro politico-sociale. Marley canta degli anni a Trenchtown, il ghetto di Kingston, passati alla mensa dell’amico di infanzia Vincent Ford (“I remember when we used to sit / In the government yard in Trenchtown“) e di una quotidianità fatta di stenti (“Then we would cook cornmeal porridge / Of which I’ll share with you“). Emergono la povertà, la vita nel ghetto ma, allo stesso tempo, anche tutta la carica positiva di un canto che crede in un futuro migliore.
Consapevoli del suo vero significato, si può continuare ad ascoltare la canzone con l’accezione più leggera, o più women empowering, di ‘nessuna donna, nessun pianto’, anche se così si perde molto dell’afflato malinconico e consolatorio che era nelle intenzioni di Marley. Nel dubbio vi lasciamo alla libera interpretazione: